Urbanizzazione e nuove necessità
La grafica era una nuova professione per un nuovo secolo. Il suo emergere fu reso possibile da importanti cambiamenti tecnologici (li abbiamo raccontati nel primo articolo dedicato alla storia del graphic design), e mentre questi avevano le loro radici nel secolo precedente, fu solo all’inizio del ventesimo secolo che le loro implicazioni per il processo progettuale si concretizzarono.
Affinché un sistema di comunicazione moderno emergesse, era necessaria un’infrastruttura di stampa meccanizzata, una produzione costante e soddisfacente di inchiostri e carta e macchinari specializzati per piegatura, rilegatura e pinzatura. Ma soprattutto, era necessario un mercato che ne sostenesse l’esistenza stessa.
Queste condizioni si resero possibili grazie ad un enorme cambiamento nel modello di vita delle popolazioni urbane nel tardo diciannovesimo secolo, che può essere sintetizzato come un’avanzata collettiva verso la modernità. La migrazione di persone verso le città medie e grandi per trovare lavoro nelle industrie, la crescita delle reti ferroviarie e il costante aumento del mercato di massa per i beni di consumo erano collegati ad altri importanti cambiamenti.
La crescente concentrazione di individui negli agglomerati urbani diede ai governi la concreta possibilità di estendere i programmi educativi ad una fetta sempre più ampia della popolazione. Nascevano le prime reali generazioni estese di “consumatori” di prodotti culturali, e non solo: la stessa esistenza della pubblicità è dipendente dall’esistenza di un pubblico dotato della capacità minima di recepire il messaggio pubblicitario, cioè leggere (la radio pubblica, il primo mezzo di comunicazione di massa che non prevede speciali capacità interpretative da parte dell’utente – il possesso dell’udito e un’intelligenza nella norma quali uniche caratteristiche richieste -, arriverà solo nei primi decenni del ‘900).
La comunicazione moderna divenne dipendente dalla sua possibilità di essere riprodotta e distribuita capillarmente per poter raggiungere fette sempre più ampie di potenziali consumatori, dapprima attraverso la stampa e più tardi nel secolo attraverso la radio, la televisione e il cinema. Libri, riviste, manifesti e pubblicità cominciarono a essere prodotti su una scala senza precedenti, per istruzione, educazione, cultura e intrattenimento. Ciò portò, per motivi economici e pratici, alla concentrazione delle grandi stamperie nelle città.
Nascono le prime scuole di design
La responsabilità di formare giovani lavoratori per i mestieri e le industrie grafiche era appartenuta in precedenza alle corporazioni (raggruppamenti di professionisti di categoria), ma le nuove condizioni resero necessaria la nascita di scuole commerciali e università di arte e design. All’epoca, il modello di educazione al design si basava in gran parte su quello che era noto come il “sistema South Kensington”, dal nome della zona di Londra dove il governo britannico istituì la Scuola di Design nel 1837. Successivamente fu istituita una rete di “scuole secondarie” simili nelle aree urbane in cui si concentrava la produzione industriale del paese. Si trattava di scuole in cui, accanto alle conoscenze tecniche, l’insegnamento si occupava anche di questioni di gusto ed estetica. La comprensione dell’ornamento era considerata fondamentale per tutti i rami del design, e il modo migliore per riformare il gusto. I più attivi in questa inedita campagna di sensibilizzazione e formazione al “bello” furono Henry Cole, fondatore nel 1853 del South Kensington Museum (più tardi Victoria and Albert Museum), William Morris, Owen Jones e John Ruskin. La loro influenza si avvertì in molte parti d’Europa, dove furono presto istituite scuole e musei simili di arti e mestieri.
Conoscere il percorso creativo di William Morris è indispensabile per la comprensione del movimento Arts and Crafts tra il 1890 e il 1914. Designer a tutto tondo, Morris lavorò a tessuti, carte da parati e mobili, e diede inoltre un importante contributo alla stampa. L’estetica di Morris e dei suoi seguaci si ispirava alle arti medievali e mostrava una preferenza per i motivi e i colori naturali, la figurazione e l’ampio uso del pattern. Nel 1891, verso la fine della sua vita, Morris stabilì, con T.J. Cobden-Sanderson, la Kelmscott Press, votata alla pubblicazione di edizioni limitate. Promosse la diffusione di caratteri realizzati a mano, illustrazioni in legno e iniziali decorate, tutte integrate per incarnare il “libro bello”. Nello stesso periodo, una raffica di piccole stamperie private sorsero in tutta la Gran Bretagna, in Europa e negli Stati Uniti.
Ma mentre Morris era contro la macchina, nella quale individuava la degradazione del lavoro umano e l’impoverimento del design, non tutti i suoi seguaci si negavano l’opportunità di lavorare con processi meccanizzati. Molti seguivano i suoi principi estetici, adattandoli però alla riproduzione meccanica.
Il design nella sua accezione generale ha un significato molto più ampio e tecnico: comprende anche il rapporto tra il prodotto e il suo utilizzatore e l’intero studio del suo processo costruttivo, l’intero progetto di un prodotto, compreso il suo ciclo di vita. Il design di un prodotto è quindi il risultato dell’analisi di tutte le caratteristiche progettuali che definiscono il prodotto stesso. In quest’ottica, anche il progetto grafico deve prendere in considerazione aspetti diversi come la destinazione d’uso, la fruibilità del messaggio, l’uso dei materiali, il processo produttivo e altro ancora.
Una nuova tipografia
Una riforma profonda del design era possibile solo con il miglioramento dei caratteri tipografici disponibili presso le fonderie. Per questa spinta in avanti, la strada venne indicata dalla Germania, dove un designer come Peter Behrens sarebbe stato incaricato da importanti aziende di progettare diversi nuovi importanti caratteri tipografici. Un modello simile si verificò negli Stati Uniti con Will Bradley, Bruce Rogers e Frederic Goudy e in Gran Bretagna con Eric Gill, Edward Johnston e altri.
I movimenti artistici di inizio Novecento
Se uno dei principali impulsi per l’emergere della progettazione grafica proveniva dalla riforma della tipografia di Arts and Crafts, un altro proveniva dal movimento dei poster. Su questo medium venivano enfatizzate le connessioni tra la grafica e le belle arti. Il nuovo poster condivideva un linguaggio visivo con il Simbolismo, l’Art Nouveau e la Secessione, tutti movimenti che sottolineavano i legami tra le varie arti e le arti applicate. Reagendo contro lo storicismo neoclassico e neo-barocco, queste versioni della “nuova arte” viravano verso nuove tecniche e materiali, facendosi promotrici di una estetica della semplicità. Nel campo dei manifesti, la tecnica della litografia era particolarmente importante in quanto offriva agli artisti l’opportunità di recarsi nei laboratori di stampa e disegnare direttamente sulla pietra appositamente preparata. Ebbero così l’opportunità di integrare la propria scrittura nei disegni per i manifesti, portando armonia estetica al medium.
L’influenza dell’Oriente e le Mostre internazionali
In Europa e in America, il senso della composizione tra i designer venne profondamente influenzato dal loro interesse per le arti visive del Giappone. L’asimmetria delle xilografie giapponesi, il loro colore piatto, l’enfasi sulle singole figure femminili e l’equilibrio tra il primo piano e lo sfondo entusiasmarono i designer moderni dell’epoca.
Una serie di mostre internazionali offrì un luogo di confronto e competizione tra le diverse industrie artistiche delle nazioni partecipanti, e i poster erano una parte centrale di questi eventi. Le mostre a Parigi nel 1900, Torino nel 1902, St. Louis nel 1904 e Bruxelles nel 1908 incoraggiarono la distintività nazionale e la consapevolezza internazionale allo stesso tempo.
Nel 1914 le arti del libro e del poster stavano per essere riassunte in un insieme più ampio: il progetto grafico. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, tuttavia, questa sintesi fu ritardata e la piena apparizione del progettista grafico avrebbe dovuto attendere fino agli anni ’20.
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